Baldassare Castiglione - Il libro del Cortegiano a cura di Giulio Preti - 1ª edne elettronica rev dal Prof Giuseppe Bonghi (1999).pdf

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Baldassarre Castiglione
Il libro del Cortegiano
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QUESTO E-BOOK:
TITOLO: Il libro del Cortegiano
AUTORE: Castiglione, Baldassarre
TRADUTTORE:
CURATORE: Preti, Giulio
NOTE: si ringrazia il Prof. Giuseppe Bonghi
e la Biblioteca dei Classici Italiani
(http://www.fausernet.novara.it/fauser/
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diritto di pubblicazione.
DIRITTI D'AUTORE: no
LICENZA: questo testo è distribuito con la licenza
specificata al seguente indirizzo Internet:
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TRATTO DA: Il libro del Cortegiano
Baldesar Castiglione
a cura di Giulio Preti
G. Einaudi, Torino [1965]
Collezione: I millenni
CODICE ISBN: informazione non disponibile
1a EDIZIONE ELETTRONICA DEL: 19 marzo 1999
INDICE DI AFFIDABILITA': 1
0: affidabilità bassa
1: affidabilità media
2: affidabilità buona
3: affidabilità ottima
ALLA EDIZIONE ELETTRONICA HANNO CONTRIBUITO:
Giuseppe Prof. Bonghi,
bonghi@whale.fausernet.novara.it
REVISIONE:
Giuseppe Prof. Bonghi,
bonghi@whale.fausernet.novara.it
PUBBLICATO DA:
Alberto Barberi
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Baldassarre Castiglione
IL LIBRO DEL CORTEGIANO
edizione: Baldesar Castiglione, Il libro del Cortegiano, a cura di Giulio Preti, Giulio Einaudi
Editore, Torino 1965
IL PRIMO LIBRO DEL CORTEGIANO DEL CONTE BALDESAR CASTIGLIONE A MESSER
ALFONSO ARIOSTO
IL SECONDO LIBRO DEL CORTEGIANO DEL CONTE BALDESAR CASTIGLIONE A
MESSER ALFONSO ARIOSTO
IL TERZO LIBRO DEL CORTEGIANO DEL CONTE BALDESAR CASTIGLIONE A MESSER
ALFONSO ARIOSTO
IL QUARTO LIBRO DEL CORTEGIANO DEL CONTE BALDESAR CASTIGLIONE A
MESSER ALFONSO ARIOSTO
A
L REVERENDO ED ILLUSTRE SIGNOR
DON MICHEL DE SILVA
1
VESCOVO DI
V
ISEO
I.
Quando il signor Guid'Ubaldo di Montefeltro
2
, duca d'Urbino, passò di questa vita, io insieme con
alcun'altri cavalieri che l'aveano servito restai alli servizi del duca Francesco Maria della Rovere,
erede e successor di quello nel stato; e come nell'animo mio era recente l'odor delle virtú del duca
Guido e la satisfazione che io quegli anni aveva sentito della amorevole compagnia di così
eccellenti persone, come allora si ritrovarono nella corte d'Urbino, fui stimulato da quella memoria
a scrivere questi libri del
Cortegiano;
il che io feci in pochi giorni, con intenzione di castigar
3
col
tempo quegli errori, che dal desiderio di pagar tosto questo debito erano nati. Ma la fortuna già
molt'anni m'ha sempre tenuto oppresso in così continui travagli, che io non ho mai potuto pigliar
spazio di ridurgli a termine, che il mio debil giudicio ne restasse contento. Ritrovandomi adunque in
Ispagna ed essendo di Italia avvisato che la agnora Vittoria dalla Colonna, marchesa di Pescara, alla
quale io già feci copia del libro, contra la promessa sua ne avea fatto transcrivere una gran parte,
non potei non sentirne qualche fastidio, dubitandomi di molti inconvenienti, che in simili casi
possono occorrere; nientedimeno mi confidai che l'ingegno e prudenzia di quella Signora, la virtú
- Dom Miguel da Sylva, nobile portoghese, nato a Èvora nell'ultimo quarto del secolo XIV. Compiuti gli studi di
teologia a Parigi, visse a lungo in Italia, prima per perfezionarsi in studi umanistici, e poi come ambasciatore del Re del
Portogallo presso la Santa Sede. Creato vescovo di Viseu (Beira), entrò in dissidio coi Re e fuggì di nuovo a Roma,
servendo nella diplomazia pontificia. Fu a Roma che il C. lo conobbe.
2
- Guidubaldo da Montefeltro (1472-1508), duca di Urbino: sposò nel 1486 Elisabetta Gonzaga. Gli succedette sul
trono ducale Francesco Maria della Rovere (1490-1538), suo figlio adottivo.
3
- correggere
3
1
della quale io sempre ho tenuto in venerazione come cosa divina, bastasse a rimediare
4
che
pregiudicio alcuno non mi venisse dall'aver obedito a' suoi comandamenti. In ultimo seppi che
quella parte del libro si ritrovava in Napoli in mano di molti; e, come sono gli omini sempre cupidi
di novità, parea che quelli tali tentassero di farla imprimere. Ond'io, spaventato da questo periculo,
diterminaimi di riveder súbito nel libro quel poco che mi comportava il tempo, con intenzione di
publicarlo; estimando men male lasciarlo veder poco castigato per mia mano che molto lacerato per
man d'altri. Cosí, per eseguire questa deliberazione cominciai a rileggerlo; e súbito nella prima
fronte
5
, ammonito dal titulo, presi non mediocre tristezza, la qual ancora nel passar piú avanti molto
si accrebbe, ricordandomi la maggior parte di coloro, che sono introdutti nei ragionamenti'
6
, esser
già morti: che, oltre a quelli de chi si fa menzione nel proemio dell'ultimo
7
, morto è il medesimo
messer Alfonso Ariosto
8
, a cui il libro è indrizzato, giovane affabile, discreto, pieno di suavissimi
costumi ed atto ad ogni cosa conveniente ad omo di corte. Medesimamente il duca Iuliano de'
Medici
9
, la cui bontà e nobil cortesia meritava piú lungamente dal mondo esser goduta. Messer
Bernardo, Cardinal di Santa Maria in Portico
10
, il quale per una acuta e piacevole prontezza
d'ingegno fu gratissimo a qualunque lo conobbe, Pur è morto. Morto è il signor Ottavian Fregoso
11
,
omo a' nostri tempi rarissimo, magnanimo, religioso, pien di bontà, d'ingegno, prudenzia e cortesia
e veramente amico d'onore e di virtú e tanto degno di laude, che li medesimi inimici suoi furono
sempre constretti a laudarlo; e quelle disgrazie, che esso constantissimamente supportò, ben furono
bastanti a far fede che la fortuna, come sempre fu, cosí è ancor oggidí contraria alla virtú. Morti
sono ancor molti altri dei nominati nel libro, ai quali parea che la natura promettesse lunghissima
vita. Ma quello che senza lacrime raccontar non si devria è che la signora Duchessa
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essa ancor è
morta; e se l'animo mio si turba per la perdita de tanti amici e signori mei, che m'hanno lasciato in
questa vita come in una solitudine piena d'affanni, ragion è che molto piú acerbamente senta il
dolore della morte della signora Duchessa che di tutti gli altri, perché essa molto piú che tutti gli
altri valeva ed io ad essa molto piú che a tutti gli altri era tenuto. Per non tardare adunque a pagar
quello, che io debbo alla memoria de cosí eccellente Signora e degli altri che piú non vivono,
indutto ancora dal periculo del libro, hollo fatto imprimere e publicare tale qual dalla brevità del
tempo m'è stato concesso. E perché voi né della signora Duchessa né degli altri che son morti, fuor
che del duca Iuliano e del Cardinale di Santa Maria in Portico, aveste noticia in vita loro, acciò che,
per quanto io posso, l'abbiate dopo la morte, mandovi questo libro come un ritratto di pittura della
corte d'Urbino, non di mano di Rafaello o Michel Angelo, ma di pittor ignobile e che solamente
sappia tirare le linee principali, senza adornar la verità de vaghi colori o far parer per arte di
prospettiva quello che non è. E come ch'io mi sia sforzato di dimostrar coi ragionamenti le proprietà
e condicioni di quelli che vi sono nominati, confesso non avere, non che espresso, ma né anco
accennato le virtú della signora Duchessa; perché non solo il mio stile non è sufficiente ad
esprimerle, ma pur l'intelletto ad imaginarle; e se circa questo o altra cosa degna di riprensione
(come ben so che nel libro molte non mancano) sarò ripreso, non contradirò alla verità.
II.
- evitare
- frontespizio
6
- i personaggi del libro
7
- Gaspare Pallavicino, Cesare Gonzaga e Roberto da Bari (cfr. I. IV, cap. 1).
8
- Alfonso Ariosto (1475-1525), cugino di Ludovico. Il C. gli dedicò il Cortegiano probabilmente perché era stato
appunto l'A. (su istanza del re di Francia Francesco I) a consigliargli di scrivere l'opera.
9
- Giuliano di Lorenzo de' Medici, nato nel 1479 e morto prematuramente nel 1516
10
- È il celebre cardinale Bernardo Dovizi da Bibbiena (1470-1520), detto il Bibbiena, autore della Calandria (1513).
11
- Ottaviano Fregoso, nobile genovese, visse diversi anni alla corte di Urbino, servendo come generale in varie guerre.
Nel 1513 rientrò in Genova e ne divenne doge passando dalla parte della Francia; nel 1522, vinto dagli Imperiali, fu
condotto prigioniero a Ischia, ove morì nel 1524.
12
- La duchessa Elisabetta Gonzaga (1471-1526), moglie del duca Guidubaldo da Montefeltro. I dialoghi che
costituirono il nucleo del Cortegiano furono tenuti appunto nelle sale della Duchessa.
5
4
4
Ma perché talor gli omini tanto si dilettano di riprendere, che riprendono ancor quello che non
merita riprensione, ad alcuni che mi biasimano perch'io non ho imitato il Boccaccio, né mi sono
obligato alla consuetudine del parlar toscano d'oggidí, non restarò di dire che, ancor che 'l
Boccaccio fusse di gentil ingegno, secondo quei tempi, e che in alcuna parte scrivesse con
discrezione ed industria, nientedimeno assai meglio scrisse quando si lassò guidar solamente
dall'ingegno ed instinto suo naturale, senz'altro studio o cura di limare i scritti suoi, che quando con
diligenzia e fatica si sforzò d'esser piú culto e castigato. Perciò li medesimi suoi fautori affermano
che esso nelle cose sue proprie molto s'ingannò di giudicio, tenendo in poco quelle che gli hanno
fatto onore ed in molto quelle che nulla vagliono. Se adunque io avessi imitato quella manera di
scrivere che in lui è ripresa da chi nel resto lo lauda, non poteva fuggire almen quelle medesime
calunnie, che al proprio Boccaccio son date circa questo; ed io tanto maggiori le meritava, quanto
che l'error suo allor fu credendo di far bene ed or il mio sarebbe stato conoscendo di far male. Se
ancora avessi imitato quel modo che da molti è tenuto per bono e da esso fu men apprezzato,
parevami con tal imitazione far testimonio d'esser discorde di giudicio da colui che io imitava; la
qual cosa, secondo me, era inconveniente
13
. E quando ancora questo rispetto non m'avesse mosso,
io non poteva nel subietto imitarlo, non avendo esso mai scritto cosa alcuna di materia simile a
questi libri del
Cortegiano;
e nella lingua, al parer mio, non doveva, perché la forza e vera regula
del parlar bene consiste piú nell'uso che in altro, e sempre è vizio usar parole che non siano in
consuetudine. Perciò non era conveniente ch'io usassi molte di quelle del Boccaccio, le quali a' suoi
tempi s'usavano ed or sono disusate dalli medesimi Toscani. Non ho ancor voluto obligarmi alla
consuetudine del parlar toscano d'oggidí, perché il commerzio tra diverse nazioni ha sempre avuto
forza di trasportare dall'una all'altra, quasi come le mercanzie, cosí ancor novi vocabuli, i quali poi
durano o mancano, secondo che sono dalla consuetudine ammessi o reprobati
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; e questo, oltre il
testimonio degli antichi, vedesi chiaramente nel Boccaccio, nel qual son tante parole franzesi,
spagnole e provenzali ed alcune forse non ben intese dai Toscani moderni, che chi tutte quelle
levasse farebbe il libro molto minore. E perché al parer mio la consuetudine del parlare dell'altre
città nobili d'Italia, dove concorrono omini savi, ingeniosi ed eloquenti, e che trattano cose grandi di
governo de' stati, di lettere, d'arme e negoci diversi, non deve essere del tutto sprezzata, dei vocabuli
che in questi lochi parlando s'usano, estimo aver potuto ragionevolmente usar scrivendo quelli, che
hanno in sé grazia ed eleganzia nella pronunzia e son tenuti communemente per boni e significativi,
benché non siano toscani ed ancor abbiano origine di fuor d'Italia
15
. Oltre a questo usansi in
Toscana molti vocabuli chiaramente corrotti
16
dal latino, li quali nella Lombardia e nelle altre parti
d'Italia son rimasti integri e senza mutazione alcuna, e tanto universalmente s'usano per ognuno, che
dalli nobili sono ammessi per boni e dal vulgo intesi senza difficultà. Perciò non penso aver
commesso errore, se io scrivendo ho usato alcuni di questi e piú tosto pigliato l'integro e sincero
della patria mia
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che 'l corrotto e guasto della aliena
18
. Né mi par bona regula quella che dicon
molti, che la lingua vulgar tanto è piú bella, quanto è men simile alla latina; né comprendo perché
ad una consuetudine di parlare si debba dar tanto maggiore autorità che all'altra, che, se la toscana
- contraddittoria
- ripudiati (latinismo)
15
- Ecco qui riassunte brevemente le posizioni del C. sul problema della lingua. In primo luogo, l'uso: uso non solo di
dotti e letterati, ma anche degli uomini di Stato e d'affari, attraverso il quale si viene, in tutte le «città nobili d'Italia»
(capitali, sedi di Principati, ecc.), a formare una specie di lingua comune, che non è piú quella del Boccaccio e non è
piú, o per lo meno non è piú esclusivamente, toscana. A criteri meramente filologici (uso di scrittori passati,
registrazione dell'uso toscano) il C. contrappone criteri selettivi fondati sulla funzionalità espressiva della parola e sul
gusto dei parlanti.
16
- Derivati, ma con forti deviazioni dalla forma originaria. Accanto ai criteri sopra indicati, il C. ne aggiunge un altro:
poiché la base della comunità di lingua in Italia è data dalle origini latine, sarà sempre preferibile il vocabolo che devia
meno dalla forma latina.
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- La Lombardia (in particolare Mantova).
18
- Patria altrui (in particolare la Toscana).
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